Aggiornamento giurisprudenziale

 

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SENTENZE SELEZIONATE PER LA SETTIMANA IN CORSO:

-          Rinegoziazione del contratto ad evidenza pubblica e obbligo di revisione prezzi

 

Corte dei conti, Sez. reg. contr. Campania, n. 144/2025 (est. De Santis)

 

Ricognizione:

 

Nel corso dell'esecuzione dei contratti che realizzano operazioni di durata possono verificarsi vicende di carattere perturbativo (sopravvenienze di fatto o di diritto) tali da rendere particolarmente onerosa l'esecuzione di una delle prestazioni o, comunque, alterare l'originario equilibrio tra le stesse. In tali ipotesi, la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (cfr. art. 1467 c.c.) può rappresentare una soluzione inadeguata perché favorisce il dissolversi del rapporto, frustrando i rispettivi interessi delle parti. Può risultare quindi più utile alle parti operare una rinegoziazione, ossia una attività attraverso la quale modificano il regolamento contrattuale – previo svolgimento di ulteriori trattative – tenendo conto delle mutate circostanze fattuali, onde ripristinare l'originario sinallagma negoziale e consentire il perseguimento degli interessi sottesi al rapporto.

Sullo sfondo di tale dibattito si colloca il rapporto di tensione tra il principio pacta sunt servanda, fondato sull'art. 1372 c.c. ed in virtù del quale il programma negoziale è insensibile alle sopravvenienze perturbanti (così garantendosi la certezza dei rapporti giuridici), ed il principio rebus sic stantibus, in forza del quale l'alterazione del sinallagma negoziale conduce sempre alla caducazione del rapporto o alla modificazione del suo contenuto.

La clausola rebus sic stantibus si può far risalire ad un valore presente nella coscienza morale dell'antica Roma come principio sottinteso al dettato contrattuale volto ad ancorare le obbligazioni assunte alla permanenza dello stato di fatto esistente al momento del loro sorgere.

Tuttavia, nessun accenno espresso a tale clausola era contenuto nel codice civile del 1865, appartenente ad un periodo storico in cui imperavano gli ideali del positivismo liberale e nel quale si tendeva all'esaltazione dell'autonomia negoziale: prevaleva il principio pacta sunt servanda e le sopravvenienze rimanevano a carico delle parti.

Solo con lo scoppio dei primi conflitti bellici si sentì la necessità di introdurre strumenti che attribuissero espressa tutela anche al verificarsi di consistenti oscillazioni del valore economico delle prestazioni. Cosicché, il codice civile del 1942, all'art. 1467 c.c., disciplina la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta e, al co. 3, contempla una ipotesi di rinegoziazione unilaterale.

Nel contesto attuale, in cui numerosi rapporti contrattuali hanno subito gli effetti squilibranti derivanti dalla pandemia da Covid-19 (e conseguenti provvedimenti restrittivi della P.A.) e dai conflitti bellici in corso, si è riaccesa la riflessione circa la sufficienza degli strumenti contemplati dal codice ai fini della gestione delle sopravvenienze. Si è infatti osservato che l'art. 1467, co. 1, c.c. offre una tutela insufficiente poiché solo demolitoria e che l'attivazione della rinegoziazione di cui al successivo co. 3 è legata ad una iniziativa unilaterale della parte avvantaggiata dalla sopravvenienza, iniziativa tutt'altro che scontata.

Ciò posto in linea generale, occorre comprendere in che misura l'apertura alla configurabilità di un obbligo di rinegoziazione basato sulla buona fede possa trovare spazio in ambito pubblicistico, con particolare riferimento ai contratti di diritto privato speciale, assoggettati alla disciplina delle procedure ad evidenza pubblica.

La rinegoziazione ha tradizionalmente trovato spazi angusti nel settore dei contratti di diritto privato speciale, ove, in virtù del più pregnante coinvolgimento dell'interesse pubblico, sono sempre prevalse esigenze anti-corruttive, di trasparenza, di parità di trattamento, di preservazione della concorrenza.

Più precisamente, il primo riferimento normativo alla rinegoziazione del contratto pubblico è rinvenibile nell'art. 344, L. n. 2248/1865, all. E, secondo cui, nella lettura in combinato disposto con il successivo art. 20, R.D. n. 350/1895, era sempre possibile la modifica concordata del contratto, ferma restando la necessaria approvazione del Ministero. L'impostazione adottata all'epoca dal legislatore era di natura privatistica.

Per avere una svolta pubblicistica dovrà attendersi la L. n. 109/1994 (cd. L. Merloni) che, all'art. 25, ha tipizzato le cause che legittimano la modificazione contenutistica del contratto. La comune volontà delle parti subisce una più pregnante limitazione sorretta dall'obiettivo di evitare la sostanziale elusione della procedura ad evidenza pubblica, preservando l'esito della stessa da fenomeni collusivi coinvolgenti stazione appaltante ed appaltatore.

Con il successivo Codice dei contratti pubblici del 2006 è stato confermato, all'art. 114, il principio in virtù del quale è vietata qualunque modifica del contratto in corso di esecuzione (non potendosi quindi invocare la disciplina civilistica di cui all'art. 1664 c.c.), fatte salve le ipotesi espressamente previste dal Codice stesso, così perseguendo l'esigenza pro-concorrenziale di matrice europea, poi rifluita nell'art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016.

Il nuovo Codice appalti (D.Lgs. n. 36/2023) fa però segnare un cambio di rotta.

Una delle importanti novità portate dal Codice consiste nell'enunciazione, all'interno della prima parte, di undici principi generali, funzionali ad orientare la successiva interpretazione delle singole norme codicistiche e l'operato delle amministrazioni chiamate ad applicarle.

Tra questi spicca, per la sua portata innovativa, il principio enunciato dall'art. 9, attraverso il quale viene codificata una disciplina generale da applicare per la gestione delle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, idonee a determinare una sostanziale alterazione dell'equilibrio contrattuale.

Il co. 1 della disposizione definisce le sopravvenienze rilevanti ai fini dell'applicazione della norma e sancisce il diritto alla rinegoziazione secondo buona fede della parte svantaggiata al quale, dunque, corrisponde un obbligo della controparte:

a) deve trattarsi di eventi straordinari e imprevedibili;

b) i rischi generati da tali eventi non devono essere stati volontariamente assunti dalla parte pregiudicata dagli stessi;

c) tali eventi devono determinare una alterazione rilevante dell'originario equilibrio del contratto e non devono essere riconducibili alla normale alea, alla ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato.

Il co. 2 specifica che la disposizione persegue il solo scopo di ripristinare l'originario equilibrio del contratto, senza alterare la sostanza economica dello stesso, altrimenti si verificherebbe una elusione delle regole della procedura ad evidenza pubblica.

L'art. 9 va letto in combinazione con l'art. 5, che applica il principio di buona fede all'intera materia dei contratti pubblici.

La disciplina del 2023 si presenta innovativa rispetto a quella del 2016, in primo luogo in quanto cristallizza la conservazione del contratto pubblico quale principio di carattere generale, destinato a declinarsi sotto il profilo applicativo attraverso le disposizioni imperative contenute negli artt. 60 e 120, che alla luce dell'art. 9 devono essere interpretati.

L'art. 60, posto a presidio dei surriferiti interessi di natura superindividuale, prevede l'obbligatorio inserimento nei documenti di gara delle clausole di revisione prezzi, che si attivano al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva, che determinano una variazione del costo dell'opera, della fornitura o del servizio.

L'art. 120, ricalcando in parte la disciplina di cui all'art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016, perimetra una serie di ipotesi specifiche in cui è possibile la modifica del contratto in sede di esecuzione, ma, al co. 8, ribadisce che "il contratto è sempre modificabile ai sensi dell'articolo 9", così aprendo la via al generale obbligo di rinegoziazione.

L'obiettivo perseguito dal legislatore attraverso tale disciplina è quello di raggiungere un ragionevole punto di equilibrio tra la tutela degli interessi degli operatori economici, la preservazione della competizione concorrenziale tra gli stessi, la salvaguardia dell'interesse della P.A. all'ottenimento del "risultato" cui fa riferimento l'art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 36/2023.

Sotto tale profilo, il Codice sembra segnare un ritorno al passato, flessibilizzando il contratto in risposta ad una esigenza di natura privatistica e contestualmente, in tal modo, stimolando la presentazione di un maggior numero di offerte, circostanza che agevola la stazione appaltante nella scelta dell'offerta più conforme alla realizzazione del principio del risultato finale.

È proprio alla luce di tale ratio che si spiega la portata generale ed imperativa dell'obbligo prescritto dal menzionato art. 60, sul presupposto che tutti i contratti pubblici che ricadono nel suo ambito applicativo trovano esecuzione attraverso prestazioni la cui erogazione è destinata a dispiegarsi nel tempo. Tale obbligo si pone anche in sintonia con il principio del risultato. Infatti, lo scopo di tale previsione è anche quello di garantire che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle amministrazioni pubbliche non subiscano con il tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione (Tar Sicilia, Catania, 27 febbraio 2025, n. 737).

Del resto, ed in senso più ampio, la stessa giurisprudenza tende a privilegiare l'aspetto manutentivo rispetto a quello demolitorio anche in riferimento ai contratti pubblici che non ricadono nell'ambito applicativo del Codice appalti, ad attestazione di una esigenza di conservazione del rapporto negoziale che trascende i confini della categoria e proietta l'operato dell'amministrazione verso il conseguimento del risultato finale.

Si pensi alla deliberazione n. 7/2021 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, che apre alla rinegoziabilità dei contratti di locazione stipulati dagli enti locali a fronte di sopravvenienze perturbanti costituenti conseguenza della pandemia da Covid-19, seppur nel necessario rispetto del principio del buon andamento e del principio dell'equilibrio di bilancio.

Si pensi, ancora, alla recente sentenza n. 9014/2024 del Consiglio di Stato, che, partendo dal principio di buona fede oggettiva, traslato nell'area dei contratti ad oggetto pubblico in virtù del richiamo ai principi civilistici operato dall'art. 11, co. 2, L. n. 241/1990, configura un obbligo di provvedere del comune sull'istanza di rinegoziazione di una convenzione di lottizzazione in presenza di circostanze sopravvenute rilevanti.

In considerazione di siffatte osservazioni, si ritiene che la stazione appaltante, nel caso di specie, abbia violato l'art. 60, D.Lgs. n. 36/2023, escludendo espressamente l'inserimento di apposite clausole di revisione prezzi nel disciplinare di gara; tuttavia, nel valutare le conseguenze derivanti da una siffatta violazione, occorre tenere in adeguata considerazione la descritta logica manutentiva e conservativa che, anche alla luce dei principi enunciati in apertura del D.Lgs. n. 36/2023, permea di sé l'intero settore dei contratti pubblici.

Proprio in tale ottica può prospettarsi l'applicazione, al caso di specie, dell'orientamento, elaborato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui può ritenersi operante una eterointegrazione ai sensi dell'art. 1339 c.c. per i contratti di appalto con la clausola di revisione prezzi obbligatoria per legge (cfr. art. 60, D.Lgs. n. 36/2023), senza necessità di impugnazione degli atti precedenti, con conseguente sostituzione di diritto delle clausole contrattuali difformi, nulle ai sensi dell'art. 1419 c.c. (Tar Catania n. 2544/2023; Cons. St., n. 7756/2022; Cons. St., n. 3594/2015).

Ad avviso di tale giurisprudenza amministrativa, dunque, la natura cogente e inderogabile di tale prescrizione (art. 60 cit.) fa sì che, nei casi in cui la clausola citata non sia stata inserita nel regolamento contrattuale, operi il suddetto meccanismo di etero-integrazione. E ciò in quanto la circostanza che la normativa anticipi l'obbligo di inserimento della clausola revisionale già negli atti di gara (ossia a monte) non è motivo per non fare operare il meccanismo della eterointegrazione a valle (ossia nel contratto), anzi risultando l'obbligo di inserimento di tale clausola, per così dire, rafforzato (Tar Sicilia, Catania, 27 febbraio 2025, n. 737).

Purtuttavia, tale indirizzo potrà essere eventualmente rivalutato, in ottica futura, in riferimento a gare assoggettate ab origine alla disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 209/2024 che, attraverso il riferimento alla possibilità di "disaggregare" gli indici Istat di riferimento (cfr. art. 60, co. 3, lett. b, da leggere in combinato disposto con gli artt. 10, all. II.2 bis), sembra sottendere la necessaria effettuazione di valutazioni discrezionali da parte della stazione appaltante; sicché è alla luce di tale rinnovato quadro normativo ed operativo che dovrà verificarsi l'eventuale attuabilità della descritta integrazione cogente.